AUGUSTO GIMMI DE COL e BIW - EQUILIBERO

 

BIW per Gimmi : “ Bisogna perdersi per ritrovarsi: adolescenti che quasi non escono dal proprio territorio, dal quartiere … portati in natura sono disorientati e per questo maggiormente disposti ad ascoltare e a farsi aiutare nel fare le scelte. L’adolescente è un novello Teseo che si trova in un dedalo fatto di strade sbagliate, vicoli ciechi, specchi deformanti: il suo viaggio d’andata è pieno d’insidie, ansie di fallimento: un viaggio mortifero, verso il buio. Raggiunto il mostro (il Minotauro) il nocciolo delle proprie difficoltà, frustrazioni, abbandoni si tratta di sconfiggerlo. Solo allora sarà possibile il viaggio di ritorno… All’educatore spetta il ruolo di Arianna, del filo: un supporto che non si sostituisce all’eroe ma che si affianca e guida sia nei ritorni, sia quando vengono imboccate strade sbagliate, sia per accompagnare il viaggio verso e dentro la vita nuova”.

 

Nel 2015 quando penso a BIW e ad un progetto con i minori di comunità, mi viene la folle idea di parlarne con GIMMI, all’epoca un mitico autore di un articolo di Animazione Sociale e poi di un libro “Il più forte tira la via” che aveva acceso infinite fantasie educative in natura con gli adolescenti. Conosciuto per caso a Sentieri di Libertà, tento … E lui, come scopro poi essere un suo stile mi risponde ci sto! Gimmi usava parole che spesso vestiva di fatti ed era profondamente allergico, fino alla paranoia quando i discorsi adulti diventano strategia e diplomazia. Lui su quei tavoli non ci sapeva stare: come gli adolescenti che accompagnava cercava cose autentiche. Questo fatto lo aveva bloccato fuori dal mondo civile: come per quei ragazzi per partire a fare il grande bisognava cominciare da cose grandi, semplici, schiette, in cui gli spigoli siano ben visibili così lui era a casa dove casa non c’era: in natura, perché là si poteva costruire per chiunque anche per chi è e rimarrà espulso per il codice civile. Detto, fatto: ad agosto 2015 era già con lo zaino e il suo cane Pedro in cammino sulla prima versione di BIW.  BIW nato come un nostos dell’antichità (un viaggio verso casa dalla terra delle avventure) proprio come un’ Odissea, aveva bisogno di un testimone simile, di uno che non si scrive ma si testimonia: “perché quello che si dice si fa”, è l’unico ponte per la speranza che i sogni divengano reali e i ragazzi hanno solo un pugno di sogni (se li hanno), quasi nulla di reale e se va bene incontrano testimoni che appiccicano al tempo disegni che sognavano e rimangono fedeli a percorsi, cadute e deviazioni ma sempre con in mano un filo del discorso. Un filo che GIMMI non perdeva mai sia per orientarsi tra le montagne sia per orientarsi tra le relazioni anche quando provocano, a cui lui rincalzava “bisogna esercitarsi e avere occhi che insegnano a guardarti per non controreagire”. L’età non contava, contava solo quanto ti metti in gioco e non dipende dall’età o dal potere da chi hai davanti ma dalla fedeltà a quello che capisci e vuoi. GIMMI dal 2015 al 2017 ha consumato le suole dei suoi scarponi o i pneumatici del suo vecchio volkswagen che ricordava viaggi di altrove e di altri tempi, di quando si sognava un mondo diverso. Per il furgone vale lo stesso, l’importante è dove vuoi arrivare casomai lo aggiusti come puoi. Ogni tanto riuscivo a farlo parlare del quartiere Pilastro, delle sue esperienze di avventura con l’arrampicata e con l’esperienza di survivor alle isole Egadi: fantasia e visione l’hanno mobilitato anche attorno a progetti folli (vorrei vendere la casa per conquistare tutti i 6000 della Sud America). Nel 2016 mi segue: io con un gesso al braccio su per l’Alta Via dei Silenzi (1500 metri di dislivello) per testarla per i ragazzi, poi riscontriamo che era improponibile, ma la sua felicità per aver dormito all’adiaccio su una cengia vicino ad una coppia di stambecchi non riusciva a farlo smettere di ringraziare. Poi una telefonata commossa mi arriva da parte sua: “sono innamorato”. I colori erano sempre così vividi con lui che sembrava che i grigi della mediazione non fossero mai arrivati eppure gli anni erano passati ma non per lui. Sì lo attraversavano amarezze che come una risacca gli avevano inacidito il cuore: la disputa con una guida alpina oppure aveva accompagnato alla morte un suo passato amore. Abissi, vertigini e baratri non li ha mai lasciati soli, sapeva della loro sofferenza e di carri ne aveva trascinati molti. Tanto che alla notizia dell’amore e di un percorso sciolto e dipanato che lo attendeva, non sembrava adeguato al suo copione. Le sue spedizioni, le sue fatiche, le sue Ande, le sue vie sulle Marmarole, il suo amore per la Sardegna, l’arrampicata con i non vedenti, l’alpinismo con i ragazzi arrabbiati cercavano tutti la porta del bivacco su cui uscire fuori dove tutto non è già pronto ma è e rimane un buon posto per ripartire, per ricostruire, per camminarci su, per tracciare una via su una vita che ancora non ce l’ha e la sta cercando, per trovare parole dove il silenzio è troppo sordo ma esiste tanto spazio per il primo alfabeto. Comparsa in numerosi film, di cui poteva essere il protagonista sembrava destinato come Mosè a vedere la genesi, salvaguardare la speranza nel deserto ma a non vedere mai la terra promessa, il premio e il riconoscimento. Lo scrivo per non dimenticarlo, perché nel 2017 un mese prima della sua morte era a camminare con noi e i ragazzi sentivano e lo sentivo anche io che se fuori c’è tempesta atmosferica o emotiva, speravo con noi ci fosse lui in qualsiasi modo sarebbe venuto. I ragazzi arrabbiati dall’insulto facile, dalla violenza anticipata perché altrimenti mi ferisci non riuscivano non essere teneri con il suo fragile volpino “Pedro”, ovunque con lui, sempre disposto alla leccata… e quando un rifugista lo hai lasciato fuori dal rifugio, lui ha dormito fuori dal rifugio con Pedro senza nessuna polemica. Per i ragazzi tutela di fragilità in un mondo di duri. Questo ha testimoniato GIMMI innamorato di “attività vertiginose” che portava i “devianti in un bosco di notte perchè non di rado si trasformano una visione di sé prepotente,” , che amava dell’arrampicata e degli esseri umani il vuoto e non ne aveva terrore e che leggeva nel perdersi l’occasione per crescere. “Non basta essere laureato in scienze dell’educazione o indirizzi analoghi (quindi sapere) così come non è sufficiente avere il brevetto di guida alpina (quindi sapere fare): ma servono saperi diversi intrecciati sotto pelle”, incarnati in un’ esperienza per “saper fare avventura”. Questo non lo si insegna, lo si testimonia ed è stato un onore per Equilibero per 3 anni esserci accompagnati assieme.