Madre dei Nervi
Mirko Giorgi, Alessandro Dardani
Italia / 2018 / 55′
Festival del cinema di Trento – MOTIVAZIONE DELLA GIURIA
Con un montaggio agile e dinamico, sostenuto da un contributo sonoro “indie” efficace e moderno, immagini evocative ed ipercolorate e la precisa direzione degli schietti attori dilettanti, il film racconta il riscatto della tossicodipendenza di cinque ragazze e la rieducazione affettiva verso I loro bambini. Tale riabilitazione è raccontata attraverso un percorso che prevede, come caposaldo e costruttiva esperienza, il tragitto di avvicinamento alla montagna e alle sue impegnative sfide e alle sue paradigmatiche opportunità. Questa prova di fatica, solidarietà e superamento dei propri limiti permette alle ragazze di leggersi dentro e scoprire una nuova dimensione e la forza per affrontare gli aspetti critici e le complessità della vita. La regia riesce brillantemente a raccontare le dinamiche personali e le ferite delle protagoniste, la fertile dialettica dei loro rapporti e la nascita di sentimenti di costruttiva solidarietà, come riflesso dei sentimenti sociali della comunità in cui si muovono, uno spazio che rappresenta un luogo più universale dove si rende possibile, attraverso l’impegno condiviso, la redenzione e l’affrancamento.
“A guardare troppo in basso si rischia di non vedere più nessun orizzonte”
(Alice, Lucia, Hana, Fliutra, Giselle)
Cinque ragazze madri con gravi problemi di tossicodipendenza incontrano un educatore-alpinista che pratica la Montagnaterapia e che collabora con la comunità nella quale vivono. Seguono un protocollo terapeutico innovativo, che integra attività di outdoor training col trattamento clinico e psicologico. Scoprono presto che l’arrampicata è divertente come uno sballo pulito e le aiuta a spegnere la rabbia dentro, che la natura rasserena, che la fiducia in se stessi e negli altri si costruisce mettendosi in gioco e rischiando. Bastano pochi giorni memorabili in montagna, nel selvaggio Supramonte o sulle pareti del Lagorai, per sentirsi molto distanti dal degrado che hanno conosciuto e molto diverse dalla pessima immagine di sé con cui sono cresciute. Non sono conquiste da poco per chi sta affrontando un percorso di cura estremamente difficile e delicato, con alti tassi di recidiva e il terrore incombente di perdere il proprio figlio. Una delle cinque non ce la farà.